Segnaliamo un buon articolo sulle vicende dell’8 marzo occupata uscito sul quotidiano Terra lo scorso 29 ottobre a cura di Patrizio Gonnella presidente dell’associazione Antigone:
sicuri che se un gruppo di extracomunitari avesse accusato un qualunque
colletto bianco di un qualunque reato la reazione diffusa sarebbe stata
diretta alla delegittimazione degli accusatori. Invece quando alcuni
signori non italiani hanno accusato i ragazzi impegnati in
un’occupazione di una scuola di averli intimiditi ed estorti, allora la
loro testimonianza è diventata “dal contenuto verosimile” e il racconto
– si scrive nell’ordinanza del Gip – “non presta il fianco a salti
logici”. La storia dell’occupazione della scuola 8 marzo a Roma è una
storia paradigmatica dell’uso politico degli strumenti di giustizia
penale. Riepiloghiamo i fatti.
Un gruppo di giovani organizza un’occupazione di una scuola
da tempo abbandonata. La rendono abitabile. Si insediano quaranta
famiglie. Molte di queste sono non italiane. Alcuni ex occupanti
dichiarano ai carabinieri che sarebbero stati costretti a pagare una
quota di 15 euro mensili per vivere nella scuola nonché sarebbero stati
obbligati a partecipare a manifestazioni politiche. Sei ragazzi – tutti
socialmente e professionalmente ben inseriti – vengono accusati di vari
e gravi reati. Il 14 settembre alle ore 4,40 un elevatissimo numero di
carabinieri, pare addirittura protetto da un elicottero nonché
comandato dal generale Vittorio Tomasone (lo stesso dell’inchiesta
Marrazzo-trans), procede all’arresto di cinque persone. Quattro sono
portati in carcere. Il 21 settembre, dopo l’interrogatorio di garanzia,
viene ribadito l’arresto e il 29 settembre il tribunale del riesame
trasforma la custodia in carcere in arresti domiciliari, dove tuttora
stanno i ragazzi con l’accusa di estorsione e violenza privata.
Qui
di seguito cinque considerazioni. 1) L’uso scenico, politico e punitivo
dell’azione di polizia e della misura cautelare inflitta. Così come in
altre vicende giudiziarie, laddove le forze dell’ordine e la
magistratura sanno che il processo finirà senza colpevoli si cerca di
ottenere tutto e subito. Nel caso in questione il tutto e subito
consiste nello sgombero dei locali, nell’intimidazione nei confronti
degli accusati, nel giudizio sociale ottenuto attraverso i giornali
amici. 2) In un paese dove il premier afferma che i pm sono tutti
comunisti, sono invece proprio i pm e più in generale i magistrati che
mettono in galera o tengono senza motivo agli arresti domiciliari
quegli oramai pochi militanti di sinistra che alla luce del sole fanno
battaglie sociali, rivendicandone pubblicamente lo sconfinamento nella
illegalità. 3) Tra le argomentazioni del Gip per confermare gli arresti
domiciliari vi è quella secondo cui sarebbero state imposte con la
forza regole e “tasse” agli occupanti. Che significa ciò? Che
l’occupazione senza regole e “tasse” andava bene? L’argomento del Gip è
intrinsecamente debole. 4) Il Gip si fida di alcune dichiarazioni
fotocopia da parte dei denuncianti. A un giudice dovrebbe venire in
mente di diffidare di dichiarazioni fotocopia prive di salti logici. I
salti logici sono il sintomo della fluida verità della testimonianza.
La mancanza di salti logici potrebbe far pensare alla preordinazione
dei contenuti delle denunce. 5) Infine questa storia giudiziaria – se
non si chiude subito con la revoca della misura cautelare – sta per
diventare una classica storia di stigmatizzazione ed etichettamento
sociale. Quei ragazzi, se non vengono subito liberati, rischiano il
loro posto di lavoro, seppur in base alla Costituzione “presunti
innocenti”.